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Escursione sull'Altopiano dell'Aubrac |
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«L’Aubrac
ci si trova nell’aria.
Non ho mai provato altrove una tale sensazione di essere immerso nell’aria.
Non so: sarà il luogo, senza dubbio, i suoi lunghi pascoli nudi e non un
albero,
a malapena di tanto in tanto curiosi ricci di basalto:
bande di montagne e bande di mucche che si muovono senza cane
tra interminabili cordoni di pietre grigie;
È questo, e poi soprattutto è questo cristallo,
questo gusto crudo di vento, di erbe amare, d’acqua di neve, un gusto di
spazio...
Sì, le sue chiarezze, le sue solitudini... e i suoi fiumi pavimentati dove
l’acqua ghiacciata di trote scorre su esagoni di basalto...
Difficile da dire... Ma l’Aubrac! Ah! L’Aubrac! ...» Henri Pourrat
"Terra unica condivisa
tra l’Aveyron, il Cantal e la Lozère che si incontrano alla Croix des Trois
Évêques, l’Aubrac è un altopiano granitico situato tra 1000 e 1400 metri
di altitudine. Terra di silenzio e di spazio modellata dalle potenze
misteriose degli elementi, l’Aubrac affascina le anime quando lo sguardo vi si perde.
È con il nostro sforzo che si può meglio impregnarsi del suo
carattere infinito, scoprendo le sue lande, la sua flora tra le più ricche d’
Europa, le sue foreste dove risuona in questo inizio d’autunno il
misterioso bramito del cervo, i suoi corsi d’acqua con laghi e cascate, le sue
pietre granitiche e basaltiche. Terra
rude, crea legami potenti con uomini a sua immagine.
I Romani, i Pellegrini di Santiago
di Compostela, i monaci, i contadini e
i loro greggi in alpeggio hanno segnato il suo patrimonio (burons, villaggi,
chiese romaniche, ponti...) e la sua storia senza poterle togliere la sua natura selvaggia.
Terra di mistero dal cuore insondabile, camminando verso di essa si ritrova
nel profondo di sé. È alla sua scoperta che questa escursione itinerante
vi invita..."
Questo piccolo testo annunciatore del nostro viaggio in un giornale associativo mascherava anche l’obiettivo di far apprezzare dall’interno una regione che amo particolarmente poiché il mio cuore è legato ad essa fin dall’infanzia. La scelta di un itinerario risponde a questo desiderio di immersione. Risponde al desiderio che i partecipanti si impregnino in profondità dell’anima di questo paese, di ciò che in fondo non è definibile e che tocca ciascuno in modo diverso, scoprendo le sfaccettature più caratteristiche elencate sopra.
Questa stagione mi è sembrata corrispondere allo sguardo che volevo dare, l’autunno infatti dà tonalità contrastanti agli elementi sia vegetali che ai cieli cangianti. È il momento del bramito dei cervidi, le bestie in alpeggio sono ancora lì, l’Aubrac è abitato ma non da alpeggiatori automobilisti! Un numero ridotto di partecipanti andava anche con questo desiderio, così come un certo sforzo per meritare ciò che nutre gli occhi e lo spirito.
Organizzazione: 9
adulti per la maggior parte non si conoscevano prima hanno camminato con me
per questi 6 giorni. Siamo andati di rifugio in rifugio portando tutte le
nostre cose ma ospitati in mezza pensione, percorrendo 24 chilometri di distanza e
400 metri di dislivello al giorno in media. Una piccola riunione per conoscersi
si è tenuta dieci giorni prima della partenza attorno a un aperitivo locale, documenti con foto e un corno di cervo trovato nelle foreste d’Aubrac per
sognare già il suo incontro.
Dopo la presentazione dell’itinerario, delle tappe, delle possibilità di
rifornimento, dell’attrezzatura consigliata, i partecipanti si organizzano tra
loro per il trasporto e il rendez-vous è fissato per lunedì 1° ottobre a Laguiole
sull’antico mercato a 9h30.
Prima tappa: Da Laguiole a Saint-Chély
d’Aubrac
Questo
primo giorno, ci ritroviamo dunque ai piedi del Toro, magnifico
esemplare in bronzo eretto dallo scultore Guyot nel 1947 in questo luogo che
accoglieva prima dell’esistenza del nuovo mercato, i bovini di razza Aubrac.
Mentre alcuni si riprendono da tre ore di viaggio attorno a un caffè, che
si terminano i sacchi, si verifica l’attrezzatura e si posa per la fotografia di partenza,
è l’occasione di evocare Laguiole. Non posso riportare qui tutto ciò che
sarà trattato durante questo viaggio; sarebbe stato necessario dedicarvi un lungo
scritto a parte.
Al momento di lasciare questa città e di avvicinarsi all’Aubrac, sapere semplicemente che si parla della sua posizione geografica al margine della zona di alpeggio, della sua agricoltura attorno all’allevamento bovino da carne e anche lattiero, con la latteria che ha ripreso a seguito dei burronniers la produzione della fourme di Laguiole e della toma fresca per aligot, della fouace, della storia del celebre coltello di Laguiole che si trova sempre nelle tasche dei grandi ristoratori parigini, della migrazione dei bougnats verso Parigi e della relazione mantenuta con la Capitale, del passato di Laguiole, etimologicamente «La Glesiola», piccola chiesa dipendente originariamente da una parrocchia vicina, delle sue case di basalto e di granito, di ciò che fa vivere oggi il suo migliaio di abitanti... Così, partiamo, un po’ tardi, va detto poiché sono le 10h40. Raggiungiamo rapidamente la sommità della città di cui ammireremo i solidi tetti di lauze dominati dalla chiesa. Questa è chiamata "Il Forte" sia per la sua posizione che per il passato di questo luogo di costruzione.
Già,
procediamo tra muretti e mucche nello spazio, e saliamo,
pesantemente carichi! Il sentiero ci porta su una piccola strada a un’ultima
fattoria isolata, da cui possiamo vedere il segnale moderno del grande cuoco
Michel Bras, uno dei più grandi chef di Francia, un amante dell’Aubrac che
porta nei suoi piatti. Ci
avviciniamo a un vero Aubrac, un toro in carne e muscoli la cui
corporatura massiccia e scura tinta di nero ricorda il bisonte; è in bella
compagnia femminile con pellicce fulve e occhi truccati di
un contorno di mascara nero.
La rusticità della razza e le sue grandi qualità materne hanno salvato questa
mucca che ha rischiato un tempo di essere soppiantata da razze
lattifere più redditizie. La sua carne ha persino ora meritato il
qualificativo di "Fiore
d’Aubrac" e vedremo camminando che ha riconquistato il suo paese attraverso le
alpeggi.
Una draille conoscerà per un tempo il ritmo dei nostri passi. Queste antiche e larghe vie di transumanza sono presenti infatti, qua e là da tempi immemorabili, gli uomini hanno molto presto portato i loro greggi verso la freschezza dell’estate. È l’occasione di trattare il passato umano dell’Aubrac, le foreste poco sicure, il clima rude eppure attraversato da drailles, via romana, cammino di Compostela (GR®65). Noi evochiamo la fondazione della domeria d’Aubrac, la deforestazione accelerata della copertura forestale primitiva e arriviamo alla Croix du Pal dove entreremo in foresta per alcune ore.
L'albero
essenziale qui è il faggio; sebbene sia stentato sulle altezze, scolpito dalla
sua lotta con gli elementi, il bosco demaniale che percorreremo in questo primo giorno
scende sulle boraldes e sui versanti più
protetti dirigendosi a sud verso il Lot. I faggi qui sono grandi, maestosi e
iniziano a brillare dei fuochi autunnali. Il sottobosco sgombro è abitato e
troviamo numerose tracce di cervidi, una via di cinghiali anch’essa,
pretesti di osservazione dettagliata di tracce, fotografate da Jean-Michel
equipaggiato per il nostro piacere di una macchina fotografica digitale dove
potremo seguire in diretta la nostra evoluzione.
Già due femmine hanno incrociato furtivamente il nostro cammino. Durante la pausa pranzo risuona in pieno giorno, che fortuna! il bramito del cervo. Vedremo ovunque tracce e scorgiamo ancora due femmine e più lontano due ancora, con un cervo, incontri furtivi. Ha tre o quattro corna? È andato troppo in fretta. In ogni caso, lungo questo cammino in foresta ci sentiremo circondati; è vero che ci troviamo in una zona molto sensibile classificata "zona di quiete" dall'ONF dal 15 settembre al 15 ottobre. Ogni anno si vedono facilmente cervi al confine della zona proibita e questa volta la attraversiamo al centro; sul sentiero segnato è infatti autorizzato, mi sono informato, e noi siamo il più discreti possibile per rispettare al meglio questa strana compagnia; essa è sonora almeno, visiva a volte, presenza quasi inebriante sempre.
Il nostro cammino
è nelle profondità di un sottobosco oscurato dal quale si libera raramente.
Lascia allora una visione d’infinito sugli spazi erbosi punteggiati di mucche o
sui paesaggi dalle luci contrastate della valle del Lot e oltre, più lontano
di Rodez. Cerco invano il campanile della cattedrale che a volte si
intuisce, ma oggi, un’aria lattiginosa lo maschera; e ci rinchiudiamo nei
boschi. Non è sorprendente che qui gli uomini abbiano trovato rifugio; una
croce di Lorena lo attesta alla grotta degli Enguilhens, piccolo riparo naturale che
incrociamo; un maquis si è tenuto lì durante l’ultima guerra e quasi due secoli
fa un prete refrattario vi trovò rifugio.
Ci interesseremo anche alle essenze forestali incontrate diverse dal faggeto: piantagioni di abeti pectinati e douglas, sorbi degli uccellatori nella radura del nostro pranzo accompagnati da due querce e un acero persi qui non so come. Infine risorgiamo al sole per la discesa verso Saint-Chély D'Aubrac e la sua boralde; è così che qui si chiamano i corsi d'acqua che scendono dall'altopiano nel Lot (Lot che ha dato nome al paese d'Olt). L'erba più verde, più regolare a causa delle falciature, i campi suddivisi da muretti o da recinzioni, il villaggio di Belveze intravisto in basso dalla strada dipartimentale che attraversiamo, ci riporta lontano dagli alpeggi e dalla foresta a un mondo più frequentato. E scendiamo per ritrovare le pendenze più dolci dove gli uomini hanno potuto insediarsi, che hanno potuto coltivare nella valle. Due serpenti troppo veloci per essere identificati fuggono sotto i nostri piedi mentre i nostri occhi scoprono questo nuovo paesaggio.
È
dominato dal neck di Belveze; l’osservazione permette di scoprire anche
organi basaltici e un campo di pietre vulcaniche da cui l'enunciazione di
alcune nozioni sulla formazione geologica dell'Aubrac. Prima, i
sedimenti attorno al continente primitivo hanno dato per metamorfosi in
profondità il basamento ercinico d'origine con scisti, micascisti e gneiss
la cui fusione e il lento raffreddamento hanno portato a un grande batholite di
granito, il crollo lungo una faglia corrispondente al Lot è stato responsabile
dell'erosione di questo massiccio granitico, le perturbazioni legate al sollevamento
alpino sono state seguite da una fase vulcanica visibile qui, circa - 10 a -6 milioni
di anni fa con essenzialmente un’emissione di lava lungo una linea
nord-ovest/sud-est dove si trovano le vette più alte aubraci e anche una
attività eruttiva o esplosiva da cui la proiezione di bombe e la formazione di
necks.
Su quello che ci domina ora persistono i resti di una costruzione di cui ignoro la funzione così come un vecchio uomo incontrato nel villaggio a cui ho posto la domanda. È più opportuno parlare della desertificazione del luogo dove non esercita più che un solo operatore contro una decina un tempo; ci indica la fonte alleata secondo lui dei 90 anni che raggiunse la coppia della casa vicina prima dell'esistenza del servizio d'acqua; purtroppo quel giorno un sgradevole profumo di gasolio lo impregna a nostro gusto; non ha dovuto, lui bere lì da tempo! I randagi si interessano anche alla sua attività, pota dei frassini per gli animali. La discesa riprende per l'antica via che conduce a Saint-Chély. Non è più che un sentiero sorvegliato da due muretti che la vegetazione supera, un cammino un tempo essenziale per il villaggio che ora non viene più percorso che da alcuni escursionisti ma che conduce sempre al rifugio e al cibo! Passando ammiriamo una bella vecchia costruzione in scisto, pietra spesso ritrovata qui all’approccio della valle del Lot. Cambiando altitudine abbiamo cambiato paese e epoca geologica. Querce e frassini sono qui le principali essenze.
Un rifugio ci accoglie in questa prima sera. Abbiamo raggiunto il cammino di Santiago di Compostela proveniente dal Puy-en-Velay. Il nostro viaggio nello spazio ci conduce a risalire nel tempo. Qui come da più di mille anni, obbedendo a motivazioni certamente diverse e in condizioni diverse assicuratamente, ma sempre in cerca e alla forza delle gambe, pellegrini ci aprono a un'altra dimensione. I pasti non essendo garantiti, un ristorante ci aspetta.
La maggior parte
ne approfitta per gustare sapori locali: genziana o cocktail a base di
liquore di castagne e vino bianco di Entraygues come aperitivo, quiche al
Roquefort - Aveyron docet! Tripoux, formaggio di Laguiole, pécoril,
crostatine ai mirtilli e lamponi accompagnati da vino rosso di Entraygues
(Un aveyronnais del gruppo ci ha già familiarizzati con il vino di Marcillac a pranzo)
saranno tra l'altro nel menu. Poi una passeggiata digestiva si impone
attraverso le strade buie e deserte di Saint-Chély-D'Aubrac. Iscrizioni sulle facciate e
antiche vetrine testimoniano una vita commerciale attiva in altri tempi. Il
lavatoio, alcuni strutture a traliccio, la chiesa del XV secolo ci rimandano anche lì e
persino le massicce finestre con sbarre al piano terra dell'edificio dove le
nostre palpebre si chiudono presto sui 22 chilometri percorsi, gli incontri lungo
i 600 metri di salite accumulate e discese.
Il giorno dopo, svegliati verso le 7, dopo la preparazione comune della colazione, la partenza avviene simbolicamente attraverso il ponte dei pellegrini, ma nel senso della salita a differenza di loro! I lavori sul vecchio ponte non ci impediranno di ammirare la croce storica con San Giacomo armato del suo bastone e della conchiglia che veglia dalla pietra dove è scolpita, su coloro che passano qui. I muretti in pietra basaltica ci fanno risalire lungo un sentiero sulla riva sinistra all'inizio, poi sulla riva destra della boralde fino a Aubrac.
Incontriamo alcune fattorie isolate prima di raggiungere gli alpeggi in altura. Ammireremo le loro massicce costruzioni in granito e basalto coperte da spesse tegole su una solida struttura in quercia. Il tetto è spiovente, fatto per far scivolare la neve; la casa di abitazione perpendicolare alla stalla permette di passare direttamente dalla stalla alla cucina e di comunicare con il calore; delle botole consentono un passaggio diretto del fieno riposto sopra le bestie nei loro mangiatoi, l'accesso al piano superiore per riporre il fieno avviene a livello dalla parte posteriore in estate poiché tutto un lato degli edifici è parzialmente interrato; la cucina ha così la sua cantina direttamente nel suolo. Le pareti molto spesse proteggono dal freddo in inverno e dal caldo in estate. L'insieme molto funzionale era ancora utilizzato così fino a circa trenta anni fa, prima che le grandi aziende avessero bisogno di più spazio per attrezzature e greggi, e che le piccole scomparissero nel declino demografico.
E noi
eccoci in vista della domeria d’Aubrac fondata da un nobile fiammingo nel XII secolo
per accogliere i pellegrini di Compostela in questo spazio rude e poco sicuro. Gli
edifici che ne restano oggi danno una piccola idea della sua importanza.
Questo monastero-ospedale ebbe un'influenza considerevole dal XIII al XVII secolo
estendendosi con le sue dipendenze molto lontano (L’Isle-En-Dodon per esempio). Monaci,
infermiere e cavalieri assicuravano un ruolo religioso, ospedaliero e di
regolamentazione. Ricordiamo questo passato visitando l’church un po’ di fretta perché
un aligot ci aspetta in piena montagna in un buron. "Aligot"
deriverebbe da "aliquod" che in latino significa "qualcosa", i pellegrini
attraversando l’Aubrac per l'attuale GR®65 chiedevano ai monaci qualcosa da mangiare; prima
dell’arrivo delle patate, la base sarebbe stata formaggio e pane.
Il buron o mazuc è legato alla transumanza. Il suo svolgimento è evocato, salite e discese delle bestie il 23 maggio e 13 ottobre, l’organizzazione della vita in queste piccole costruzioni che si sparpagliano su tutta la montagna, la loro architettura, la loro scomparsa. Ecco uno degli ultimi in funzione; il cantalès dirige ancora la produzione della fourme e della toma aiutato da due giovani e i passanti possono beneficiare di un aligot preparato sul posto se portano posate, pane, bevande e accompagnamenti. Fuori stagione, siamo gli unici clienti a quest’ora; siamo un po’ in ritardo sull’orario di prenotazione e l’atmosfera è un po’ tesa, il padrone è severo e sta spiegando in patois al telefono che la nostra presenza lo disturba.
Ne approfitto per dirgli che tra noi ci sono aveyronnais, alcuni hanno completamente capito le sue parole, chiede da dove, scopriamo che abbiamo conoscenze comuni e una discussione animata si sviluppa tra tutti. Ci parla dei suoi inizi come roul a undici anni, era una volta il ragazzo tuttofare del buron, il pastore era incaricato del gregge e il bédélier dei vitelli e della mungitura. Ha scalato i gradini tra le stagioni in alpeggio e in inverno come bougnat a Parigi.
In questo luogo risaliamo nel tempo, l’aligot è
riscaldato su un focolare a livello del suolo, le galline sono alla porta, il suolo è in terra
battuta, gli scolatori, la pressa, gli stampi e tutto il materiale di produzione
del formaggio disseminati nella stanza unica dove si apre
la cantina sul lato del muro affondato nel pendio. Anche la gerarchia che regna
lì è di un'altra epoca. L’aligot acquista una particolare sapore tanto più che le nostre
gambe l’hanno ben meritato! E fila bene dalla pentola ai piatti e dai
piatti alle papille. Mentre il padrone di casa si prepara a andare a consegnare
il maiale che ha allevato come una volta durante la stagione con il siero
rimasto dalla produzione di formaggi in una capanna accanto al buron, noi
riprendiamo il cammino. Ci porta tra i branchi di mucche
aubrac in distese arrotondate che raggiungono il cielo a perdita d’occhio.
Qui si trovano torbiere e laghi.
Questi grandi orizzonti hanno origine da un'erosione a
bassa incisione per 4 milioni di anni alla fine del terziario, e durante
le glaciazioni del quaternario la presenza di una vasta calotta di ghiaccio. Essa
scompare verso -15000 a -10000 anni incidendo il sud dell’Aubrac con profonde
valli e lasciando a nord-est depositi, laghi, blocchi erratici in
ampie valli.
Così le cavità accolgono le torbiere, riserve d'acqua e di materia
organica dove sopravvive una flora di eccezionale ricchezza
in Europa (tra cui la drosera carnivora). Ma non entreremo in questi
suoli spongiosi. Saranno più facilmente ammirati i laghi di Souveyrols e dei
salhiens e noi evocheremo senza vederlo il passato mitico di quello di San
Andéol. Il loro colore sotto il cielo blu solcato da nuvole grigie e le
tonalità rossicce dei boschi di faggi abbagliano i nostri occhi, il vento ci
inebria ... Senza dubbio
gli utilizzatori della via romana di cui seguiamo talvolta il tracciato sono stati
anch'essi incantati come coloro che hanno visto in queste acque un'opera mistica e
creano attorno ad esse un culto pagano?
Una piccola deviazione alla cascata del Deroc dove l’acqua
attraversa con un salto le organi basaltici permette un altro sguardo prima di
raggiungere la tappa della sera. Il soggiorno è più lussuoso ma l’accoglienza è più
commerciale rispetto al giorno precedente in un gîte-hotel
attrezzato con charme in una vecchia fattoria isolata restaurata dalle sue
rovine. Ammiriamo il camino e gli oggetti d'altri tempi esposti ovunque.
Pane e fouace sono cotti sul posto nel
vecchio forno. Il viaggio gastronomico continua e la nostra cultura enologica
si arricchisce anche! Per meritare tutto ciò, coloro che lo desiderano vengono con me
fino a Nasbinals a 2,5 chilometri per ammirare il villaggio di granito e la sua piccola
chiesa romanica. I 24 km percorsi e 660 metri di dislivello questo giorno lasciano
ancora la voglia a sei partecipanti; un aperitivo nel villaggio sarà la
ricompensa.
La nebbia ha avvolto il paese durante la notte. Nutriti di fouace e di marmellate fatte in casa a colazione, partiamo a buon passo per questa tappa quasi piana di 23 chilometri fino a Aumont-Aubrac, tutto a est del massiccio. Il basalto scompare mentre sempre più blocchi erratici adornano gli alpeggi. Ci dirigiamo verso il Paese di Peyre, il paese della pietra. I muretti diventano onnipresenti creando linee che si perdono nella nebbia; grossi blocchi di granito arrotondati dall’usura emergono dall’opacità; siamo immersi nel nulla in un paese fantastico.
I rarissimi villaggi attraversati sono deserti, le case distanziate l'una dall'altra sono somme di esseri di pietra fissi e condannati a affrontare il tempo che li consuma lentamente... Anche i paletti delle recinzioni e i lavori per ferrar i buoi, spesso accompagnati dal forno comune e dai abbeveratoi, sono in granito pronti ad aspettare per l’eternità che gli uomini tornino.
I romani hanno lasciato delle pietre miliari in granito lungo le loro strade per evitare che il cammino si smarrisse, ma esso si è perso e le pietre miliari sparse si confondono con i sassi. Un piccolo ponte di pietra attraversa un fiume pigro poiché qui l’Aubrac è piano; esso si dirige da qualche parte verso il Bès, unico corso d’acqua che drena a nord il grande plateau rispondendo alle ripide boraldes a sud dall’altra parte della cresta sommitale dell’Aubrac. Questa vasta e piana inclinazione a nord-est spiega le rigidezze di questo luogo dove nulla ferma il vento.
Pochi
uomini vi sono rimasti; qui la terra sembra
autonoma, ubriaca d’aria e d’infinito, permettendo solo al mondo minerale del granito
di abitare sotto la sua copertura di cielo e alle mucche di
godere in estate del suo spazio di libertà. La nebbia le si addice, le pietre, le mucche
vi emergono, i muretti vi si perdono e anche le nostre menti. È così che preferisco
questa terra, per la potenza che essa offre da toccare nell’evasione, per questo dono
offerto alla libertà... E spero, e credo che i miei
compagni di viaggio quel giorno l’abbiano sentito.
La nebbia si solleva mentre ci avviciniamo al Paese di Peyre nei dintorni di Aumont-Aubrac. Foreste di pini silvestri con tronchi salmone hanno succeduto agli alpeggi e accolgono il nostro picnic. Dopo, il mondo civilizzato ritorna, le fattorie e i campi coltivati; qui si allevano razze da latte, ma ancora anche incroci di Charolaise per la carne e cavalli.
L’arrivo in città è disorientante con l’autostrada e la ferrovia, ma possiamo consolarci pensando che non si può avere tutto e che questa strada che porta l’Aubrac a 5 ore da Parigi è anche una fortuna per il paese. È presto al nostro arrivo e dopo l’installazione al gîte, avevo pensato che questa tappa più corta a metà percorso sarebbe stata gradita per il riposo individuale, le cartoline o le commissioni poiché fino ad allora non abbiamo quasi incrociato negozi aperti. In effetti, il gruppo è ora unito e mentre accompagno Gisèle per trovare della frutta in un supermercato a qualche chilometro, l’ alimentari essendo chiuso, è insieme che gli altri fanno il giro del paese. Li ritroviamo in un piccolo bar frequentato da abituali felici di parlarci della vita locale.
Le prime gocce di un temporale che i nuvoloni avevano progressivamente trasformato il cielo brillano mentre ci avviciniamo al gîte. È una vecchia fattoria sistemata semplicemente con un comfort sommario ma affascinante; la sala da pranzo è in quello che era la stalla e vi troneggiano ancora il rastrello e un giogo. Qui ceneremo allegramente in compagnia di camminatori del Cammino di Santiago di Compostela.
La lezione della sera è: "Oh tu, veleno di San
Giacomo, tu che ci turbi la ragione, non dici nulla, miserabile. Quindi
sei colpevole. Andiamo, in prigione!" Con queste parole, brindiamo con
i nostri vicini! Un altro pellegrino avvistato vicino
alla chiesa ha scelto un’opzione più ardua ma
forse più conforme ai tempi antichi; si stava preparando a dormire all’aperto
nonostante la pioggia e i suoi piedi tutti rovinati che stava cercando di curare. Questo incontro
porta Magali a interrogarsi sul fondamento della
camminata e sul rapporto tra piacere e sforzo, vedere sofferenza. Tra noi, alcuni
soffrono anche un po’ di questo aspetto dell’itineranza, fortunatamente senza troppa gravità; il kit di
pronto soccorso si rivela utile. Di sera, esco a osservare il cielo. La luna piena
brilla nell’aria umida. Domani, la giornata sarà bella.
Da Aumont-Aubrac a Fournels
In questo
giovedì, quarto giorno di questo percorso, una nebbia mattutina che si alza rapidamente
decora con il suo gioco con il sole un paesaggio meno tipico. Terreni coltivati,
ondulati alternano con foreste di pini. Sulle recinzioni, ragnatele
impregnate di rugiada brillano tra i fili di ferro spinato mentre il
sole termina gli ultimi strati di nebbia. Uno degli insetti
costruttori è un’argiope dal grosso addome colorato; Jean-Michel fisserà la
sua opera labyrinthica su un clic.
Camminiamo su strade di terra e talvolta
un po’ di asfalto. Le fattorie di granito si susseguono con i moderni
edifici di sfruttamento vicini, i pascoli sono incastrati con i lavori
autunnali già iniziati. L’allevamento da latte predomina; ad Aumont c’è una piccola
latteria.
Incrociamo anche fasci di balle di fieno avvolte in pellicole di
plastica di cui il nostro fotografo riesce a fare opere fotografiche
artistiche! Un mulino sulla Rimeize, un piccolo corso d’acqua ricorda che la
forza idraulica fu per lungo tempo l’unica
energia capace di far girare un apparente motore. Ne osserviamo la chiavica, i canali di
deviazione che passando sotto il mulino azionavano una ruota collegata
alla macina sopra.
Qui, non so, ma i mulini spesso fanno parte della vita di un paese fin
dai tempi antichi. Il loro utilizzo risale a prima dell’era cristiana e i
romani, per esempio, usavano mulini a ruote verticali. Ho omesso di parlarne
quando eravamo nella boralde di Saint-Chély-d’Aubrac, ma
là la loro concentrazione era sorprendente; la storia della loro trasmissione nel
corso delle generazioni e della regolamentazione in termini di doveri e diritti del mugnaio
verso la popolazione e la nobiltà locale è edificante.
A Fau-de-Peyre, ammiriamo la chiesa e il suo campanile a pettine caratteristico. Le manca una campana e avremo la spiegazione nel pomeriggio a La Fage Saint-Julien da un abitante. I campanili spesso ne hanno persa una o due durante le guerre poiché furono requisiti per essere fusi in cannoni nel XIX secolo. Da qui, i nostri passi proseguono; avevamo lasciato i pini per pascoli verdi bordati di querce, frassini, a volte con meli e persino castagni, e ben ritroviamo sulle alture del Truc de l’Homme (Truc è un nome frequentemente dato qui alle cime) a quasi 1274 metri un sentiero bordato di ginestra che ci porterà nelle conifere per la pausa pranzo.
Ci sono prima pini silvestri di origine, poi più avanti una piantagione essenzialmente di douglas, ma incrociamo anche abeti, epifite e persino giovani larici e alcune rare latifoglie. Su un tappeto di muschi molto verdi spuntano amanite muscaria e altri funghi bianchi sconosciuti; Marc li osserva da vicino. Già, avevamo incrociato coulemelles, rosati dei prati, porcini non commestibili e funghi di pino e cercatori di funghi!
Partendo, una vipera cerca di opporsi al nostro
passaggio. Nel pomeriggio, il passaggio di La Fage Saint-Julien e di Termes permette
di ammirare ancora bei edifici in pietra; in questa regione piuttosto temperata
e accessibile dalla città di Saint-Chély D’Apcher quindi frequentata, essi sono
ben restaurati.
La chiesa di
Termes si trova su un promontorio dove ci dirigiamo sotto il cielo tutto blu. Da lì
si può vedere tutta la catena del Plomb du Cantal, i monti della Margeride e l’Aubrac
nascosto dal Truc de l’Homme. Sotto si intuisce la valle del Bès e più
vicino quella dove andremo a ritrovare Fournels, il nostro punto di arrivo del giorno
dopo 24 chilometri e meno di 500 metri di dislivello. Un abitante si improvvisa
guida per spiegare tutto ciò a Magali, Jean-Michel, Laurent e me che ci siamo
appollaiati sul belvedere e riempiamo i nostri occhi dello spettacolo.
Gli ultimi passi in discesa sono rapidamente consumati,
abbiamo il gîte d’etape tutto per noi e Philippe accende la
camino con la legna che ci ha dato il responsabile a questo scopo. Questo grande
camino in granito è molto piacevole per la convivialità attorno a un punch al
miele acquistato durante la giornata da un’apicultrice.
Ceniamo "Chez Tintin", il custode del gîte la cui piccola sala da pranzo
attigua a un bar anch’esso piccolo è profumata dall’accoglienza e dalla cucina del nostro
ospite.
Per 65 franchi, avremo diritto a un vero pasto da lavoratore: zuppa di verdure fatta in casa, insalata composta con fricandeau a volontà, lenticchie profumate al piccolo salato con una fetta di manzo locale, formaggi della regione, éclairs al cioccolato e il padrone dei luoghi fa tutto, tutto da solo, la cucina, il servizio e la chiacchierata con gli abituali del bar, un indirizzo da raccomandare.
Partendo, entriamo nella chiesa, alla porta
del nostro gîte, è aperta in piena notte in questo capoluogo di
cantone di 400 anime molto tranquillo! Davanti al fuoco non manchiamo la rituale tisana
che da sempre segna le nostre giornate fin dal primo giorno.
E questa sera dobbiamo demistificare la grande tappa di domani, Philippe che ha un
topo-guida ha spaventato il morale delle truppe! La sera, quando i fuochi sono
spenti, studio la mappa e le possibilità; fino ad ora non abbiamo mai
seguito il percorso segnato in extenso a seconda di ciò che desideravo
inizialmente mostrare dell’Aubrac, del tempo a disposizione e giorno per giorno dello stato
delle nostre gambe. Ma domani, era previsto e anche con dei tagli, la tappa
sarà lunga, 31 chilometri con 600 metri di dislivello cumulato.
Siamo già
all'anti-penultimo giorno. La partenza è appena più mattutina che
di consueto; verso le 8:30, è ragionevole, lasciamo le case sparse
del villaggio e il suo campanile a pettine. Questo percorso ci conduce prima con una piccola
deviazione a nord, verso l’inizio delle gole del Bès a Saint-Juéry, una frontiera
simbolica.
Una
minuscola strada asfaltata sale e poi scende lungo il ruscello della Bédaulle.
Qui incrociamo diversi mulini di cui uno in restauro. Un sentiero poi
porta a Saint Juéry che si osserva solo dalle curve della strada sopra.
Mi piacerebbe scendere a vedere il Bès da più vicino, il ponte e la croce
storica, ma non credo che il gruppo voglia allungare la distanza.
Continuiamo quindi a buon passo; il sentiero si snoda tra boschi di conifere
intervallati da pascoli dove la vista si apre. Scorgiamo Chauchailles e Chauchaillette, due villaggi
il cui nome aveva
affascinato Jean-Michel che conoscendo il posto me ne aveva già parlato a
Tolosa!
La "Route Vieille" prima di arrivare al Cheylaret è molto carina, disseminata di
foglie sotto i faggi e pronta a vedere l’erba riprendere il suo diritto.
Jean-Pierre decortica le ghiande di faggio per estrarre l’achenio e mangiarlo.
È vero che in passato se ne faceva olio, quindi è commestibile.
Anche le formiche lo sono! Incrociamo diversi formicai in
queste zone, di cui uno più alto di noi! So che si può mangiare
l’addome dal gusto acidulo di questi insetti, ma non sono pronta a farne
la dimostrazione!
Il roc du Cheylaret è una tavola di lava di diversi metri di lunghezza che domina a 1128 metri vicino a La Chaldette. Questo villaggio detiene, come indica il suo nome, una sorgente calda e questi due elementi testimoniano, se mai ce ne fosse bisogno, che l’Aubrac ha avuto e ha ancora relazioni con il cuore della terra.
Al Cheylaret, gli abitanti hanno ristrutturato
i abbeveratoi per bestiame e la fontana dove ognuno attingeva acqua prima
dell’arrivo dell’acqua corrente, così come il lavoro in granito e il forno comune che
era in questa parte dell’Aubrac comune a tutto il villaggio e ospitato in fondo a
una capanna di pietre.
Vedremo questa organizzazione nei villaggi
successivi, lavoro, forno dove si entra spingendo una porta che dà su una
stanza con due panchine in pietra laterali e la porta del forno
propriamente detto in fondo. Questi elementi si trovano su quella che è considerata
la piazza del villaggio. A Cheylaret si tratta semplicemente di uno spazio
sgombro.
Qui si trova anche una croce di pietra poiché in assenza di
chiesa questo luogo era il centro spirituale del villaggio. Un pannello esplicativo
ricorda la funzione essenziale di questa piazza oggi deserta e che si
nota a malapena; delle fiere si sono tenute
qui in quello che oggi non è che un piccolo incrocio vicino
a una fontana adatta per la sosta pranzo.
Il caffè sarà preso a La Chaldette, a pochi chilometri più avanti. La sorgente calda che conoscevo, che scorre in un vecchio lavatoio, è stata completamente recuperata in un centro termale nuovissimo. Si può comunque accedere durante il periodo di apertura estiva, ma in inverno gli abitanti non hanno più diritto alla loro sorgente calda, come ci dice una di loro. Alcuni di noi andranno a gustare quest’acqua sulfurea usata soprattutto in cure dimagranti, di cui ridiamo mentre ne prendiamo per coloro che hanno preferito restare sulla terrazza del caffè! L’acqua tiepida scorre attraverso tre piccoli rivoli in una fontana dal design moderno in un edificio dello stesso stile, emanando un forte odore ben noto da ospedale!
Qui, nel bel mezzo dell’Aubrac, in un villaggio che conta
in tutto e per tutto solo due hotel, un caffè-ristorante e due o tre
case, talvolta non accessibili in inverno, il personale medico lavora! Ma
il vecchio lavatoio rimane disperatamente secco... Siamo stati scaricati dai porcini dei pini trovati la
mattina e dati a due curisti amatori, lasciamo la "civiltà"
relativa e il Bès per raggiungere gli spazi d’alpeggio, le loro abitanti rosse
di cui una vuole sbarrarci la strada; bisogna correre per superarla attraverso
la brughiera. Non c’è più nulla se non il cielo, le terre dalle curve dolci, le mucche
e noi, e questa solitudine è un piacere; il gruppo pensieroso dimentica la
distanza. Sopra di noi plana un nibbio le cui evoluzioni nel
vento ci portano ancora più lontano, più in alto.
Non ho
menzionato gli uccelli, ma ogni giorno è l’occasione di osservare
rapaci, nibbi, poiane o falchi. Altri piccoli uccelli ci accompagnano con
i loro vari canti. Ne abbiamo persino trovato uno giovane ai bordi del sentiero il
giorno prima. Questo sentiero nel deserto collega comunque due piccoli borghi
i cui abitanti, sorpresi, confermano che siamo proprio su un raccorciato per
Saint-Urcize.
Una discesa in piena montagna ed ecco la strada che attraversa il Bès, che
si unisce a una più grande e siamo nel borgo cantalien. Questo è il terzo e
ultimo dipartimento che conosceremo dopo l’Aveyron e la Lozère. Essi
uniscono i loro tre vescovati e regioni di appartenenza alla Croix des Trois
Evêques, nel cuore dell’Aubrac.
Il borgo ci fa ritrovare case in granito
e basalto mescolati; le tracce di vulcanismo sono effettivamente molto presenti
tutto intorno con dyke, campi di pietre, organi basaltici. Il granito
serve per il contorno delle finestre e delle porte, mentre il basalto è piuttosto
utilizzato all’interno dei muri.
L’albergatore di cui dipende il gîte riservato ci conduce in una piccola casa così fatta di cui ha sistemato tutto il primo piano con legno di pino e oggetti di montagna tra un inserto e una mezzanina. Ci si potrebbe quasi sentire in un chalet alpino... Per ben ricollocarci è bene in qualità di aperitivo assaporare quello che porto a base di tè d'Aubrac o calamina, ora alcolico, in tisana dopo cena.
A proposito di piante, la stagione non è
ideale. Non potremo che evocare i campi di narcisi e il loro utilizzo in
profumeria, la grande genziana qui raccolta per la produzione di aperitivi, le
distese gialle adornate di giunchiglie, le piante carnivore, i gigli martagoni
e altri ornamenti dell'Aubrac in stagioni più propizie. Tuttavia, abbiamo
incrociato alcune ranuncole, senecioni, achillee millefoglie, trifogli bianchi,
denti di leone, erbe di San Giovanni, lottieri, ginestrini, garofani, colchici d’autunno da
distinguere dal più innocuo zafferano d’autunno, veroniche, calluna e brugo, scabiose...
piante più insignificanti, ma ancora fiorite a volte.
Ciò che ha trovato il nostro ristoratore è di gran lunga più gratificante; sulla
tavola del ristorante troneggia un magnifico porcino di Bordeaux di 570 grammi! Lo
mangeremo, ma non quello, con l’aligot per quest’ultima sera mentre
discutiamo di pesca in tutto il mondo, poiché il nostro ospite è un vero appassionato e
la sala è un vero e proprio museo.
Una passeggiata digestiva notturna porterà poi alcuni in cima al "donjon"
per ammirare in segno di addio il cielo notturno dell’Aubrac. Io stesso esco
addirittura alle quattro del mattino svegliato dal calore soffocante
dell’interno e il bramito di un cervo che si sente dal villaggio mi saluta.
Sabato è
il nostro ultimo giorno. Come se fosse un addio, risaliamo le stesse scale
di ieri per un’ultima vista contemplativa di Saint-Urcize, passando dal grigio
delle tegole ai verdi dello spazio terrestre e ai blu del cielo. La tappa è
volutamente corta per lasciare tempo per girovagare a
Laguiole, il nostro punto di arrivo prima di prendere la strada. Percorreremo 17
chilometri con un dislivello trascurabile. Purtroppo, una tendinite impedisce
a Philippe di accompagnarci a piedi; sarà comunque con noi più volte
e per il picnic poiché ci raggiunge in macchina. Questa
ultima tappa è piacevole perché ci mantiene a lungo negli spazi
quasi mitici del luogo, facendoci persino raggiungere un ultimo belvedere di
contemplazione a 1342 metri sopra i boschi di Laguiole.
I branchi di mucche muggiscono al nostro passaggio,
sentono che anche per loro la discesa è vicina. Superiamo
alcuni ostacoli attraversando le recinzioni, sorvegliando una caduta in un
ultimo bosco di faggi rosseggianti dove le tracce degli zoccoli segnano il suolo;
inoltre, ci sono anche cacciatori; a pranzo li vedremo tornare
con soddisfazione a mani vuote!
All’orlo del
bosco, siamo sbucati nelle ultime alpeggi ai confini dell’Aubrac che
sta per finire, come il nostro viaggio nella città aveyronnaise. Quella che è
forse la sua capitale si profila in lontananza ai bordi dello spazio mentre noi
condividiamo un ultimo picnic sempre arricchito da
esperimenti enologici; non ci siamo mai tirati indietro grazie a Yannick,
ma con moderazione! Ma è la fouace di Saint Urcize a cui credo spetti la parola
finale in questa ultima condivisione. Rimane solo una strada da scendere per
raggiungere Laguiole, i suoi coltelli, il suo toro, il suo formaggio... Qui si separano
i nostri destini. È la fine o un inizio?
Dallo spazio
riscendiamo nelle nostre vite, aperti forse a
altre dimensioni... E poi
l’Aubrac è immutabile e ci aspetta sempre con i suoi colori e i suoi
infiniti multipli per metterci alla prova e arricchirci ...
Spero che il nostro itinerario, i nostri sforzi e i nostri sguardi condivisi abbiano permesso a tutti di amare queste montagne a cui devo così tanto, di avere voglia di tornarci o di esplorare altri luoghi, di fare altre incontri con lo sguardo umile e sereno trasmesso da questo Aubrac-là. È stata per me un’esperienza profonda ben oltre la preparazione e l’organizzazione logistica, nella ricerca di un’immersione nell’ anima di un paese, nella condivisione di un certo sguardo, nell’ascolto del cammino del gruppo e di ciascuno in itineranza in questi spazi... Vorrei che questo presagisse altri viaggi futuri con miglioramenti di questa nota là ... Una dolce musica e lo spazio in immagine riempiono il mio cuore ogni volta che penso a queste montagne-là. Lasciatevi trasportare nella vita di questo paese-là...
Ex hotel per vacanze con giardino lungo l'Allier, L'Etoile Casa degli ospiti si trova a La Bastide-Puylaurent tra Lozère, Ardèche e le Cévennes nelle montagne della Francia meridionale. All'incrocio di GR®7, GR®70 Sentiero Stevenson, GR®72, GR®700 Via Regordane, GR®470 sorgenti e gole del fiume Allier, GRP® Cevenol, Montagne Ardechoise, Margeride. Numerosi sentieri ad anello per escursioni a piedi e escursioni in bicicletta di un giorno. Ideale per una fuga rilassante e per escursioni.
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