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Sfruttamento delle miniere di Villefort |
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Nel cuore delle montagne di Villefort, le vene della terra nascondevano tesori, bramati da coloro che osavano immergersi nelle sue profondità. In questo giorno del primo giugno 1640, Firmin Mazelet, un uomo di visione e ambizione, ricevette l'autorizzazione reale per sondare le viscere della terra. Gli fu concesso il diritto di cercare ed estrarre oro, argento, rame, stagno, piombo e ogni altro metallo prezioso nelle vaste province di Linguadoca e Rouergue, per una durata di sei anni.
L'anno successivo, i documenti attestavano che il signor Firmin Mazelet de Savage era impegnato nelle miniere e nelle miniere della parrocchia di Villefort. Gli archivi del 1642 confermarono l'esistenza di queste operazioni, ma, come un soffio effimero, cessarono bruscamente nel 1643.
Il tempo passò e nel 1649, il marchese de la Charce, attirato dall'appello delle ricchezze sotterranee, ottenne a sua volta un'autorizzazione per aprire miniere in Linguadoca e Provenza. Ma gli anni passarono senza che si sentisse parlare di lavori nel territorio di Villefort.
Poi, nel 1733, un irlandese di nome Brown arrivò con una nuova autorizzazione, riaccendendo le speranze di opulenza. Aprì miniere di piombo vicino a Villefort e Alès e, con una determinazione incrollabile, portò dalla Germania e dall'Inghilterra minatori, lavatori, fonderie e raffinatori esperti, pronti a rivelare i segreti della terra.
Tuttavia, tra il 1734 e il 1741, scoppiò una controversia tra Brown e un certo Bonnet, che rivendicava la scoperta di miniere in vari luoghi, da cui avrebbe estratto ricchezze nel 1734 e 1736. Ne seguì un lungo processo e, alla fine, la concessione fu ritirata a Brown nel 1756.
Infine, una lettera datata 1764 menzionò che le miniere di piombo di Peyrelade, Villefort e altre simili, annidate nelle Cévennes, erano state concesse a un certo Ménard. Ma quest'ultimo, forse scoraggiato dalle sfide o dai capricci della terra, le abbandonò subito, lasciando i tesori di Villefort addormentati sotto le montagne, in attesa che altri avventurieri venissero a risvegliarli.
Il 15 giugno 1769, un vento di cambiamento soffiò sulle miniere di Villefort. Una autorizzazione di sfruttamento fu concessa a una compagnia sotto la direzione del marchese di Luchet, Pierre-Louis, con Maulevrier come socio in questa impresa. Le miniere, che erano state teatro di incessanti attività, erano allora sotto lo sguardo scrutinatore di Jars, che, il 27 agosto 1771, redasse un rapporto dettagliato sullo stato dei lavori.
Quattro vene battevano il cuore della montagna: Lagarde, le cui promesse di ricchezza si affievolivano sotto la direzione attuale; Bayard, una vecchia vena che aveva conosciuto giorni migliori; Pierrelade, dove l'effervescenza del lavoro non riusciva a dissipare i dubbi sulla sua redditività; e Masimbert, una vena vergine che gli antichi avevano risparmiato, forse per rispetto o per paura.
Nel 1776, la concessione di Villefort e Vialas fu stabilita per trenta anni, passando nelle mani di Antoine de Gensanne. Quest'uomo, animato dalla passione per le profondità, si lanciò nella riabilitazione delle miniere di Peyrelade, del Fressinet e di Mazimbert. Ma i giacimenti di galena si rivelarono recalcitranti e Gensanne dovette estendere le sue ricerche ad altri luoghi della concessione, come Bayard, la Garde, Valcrouses, la Devèze, Charnier, la Rouvière e molti altri ancora.
Nel suo lavoro del 1778, Gensanne dipinge un quadro vivido della miniera: i minatori, estranei alla regione, plasmando la roccia con la loro polvere, mentre i manovratori, giovani del posto, si affaccendavano attorno a loro. Gli anni passarono e nel 1781, gli sforzi si concentrarono sulle vene del Villaret e Malfrèzes, lasciando indietro Mazimbert e Peyrelade. La miniera di rame del Fressinet conobbe un successo clamoroso fino al 1781. La compagnia di Villefort, d'altra parte, sembrava ancora in attività nel 1790, ma sei anni dopo, le miniere furono abbandonate, le loro viscere silenziose.
Marrot, nel 1824, menzionò una ripresa delle attività, sebbene i rapporti di visita degli anni 1821-1825 rimangano muti sull'argomento. Fu solo dopo diverse modifiche della concessione che i lavori ripresero timidamente nel 1821, con ricerche modeste sulle vene di Peyrelade e Mazimbert. Infine, nel 1872, a seguito della fusione di diverse concessioni, un nuovo slancio fu dato alle ricerche a Peyrelade, ravvivando la speranza di una terra ricca di promesse sepolte.
Il destino delle miniere di Villefort prese una nuova piega il 7 agosto 1883, quando la Compagnia delle Miniere di minerali di ferro magnetico di Mokta-el-Hadid si impadronì delle redini dell'estrazione. Gli anni passarono e il giacimento di Vialas, esaurito, portò a una riduzione significativa del perimetro della concessione il 13 ottobre 1909, fissando i confini dell'attuale concessione di Villefort a 3563 ettari. La ricerca incessante di ricchezze sotterranee continuò, ma nel 1919, Mokta-el-Hadid, stanca delle sfide imposte dalla terra, cedette il suo titolo minerario a un certo M. Joosten. La fiamma dell'esplorazione arse ancora tra giugno 1930 e inizio 1931, con gli ultimi sforzi compiuti nel quartiere del Chambon e a Mazimbert. Ma come tutte le epopee, quella di Villefort vide sfilare una miriade di concessionari, ognuno intento a penetrare i misteri sepolti. Recylex SA, l'ultimo di questi titolari, ereditò una storia ricca di colpi di scena, segnata dall'ambizione umana e dal soffio indomabile della natura.
La ricerca dell'oro è sempre stata un motore potente. Sebbene le miniere d'oro in Lozère siano state meno numerose rispetto a quelle di altri metalli, hanno suscitato un vivo interesse. I minatori alla ricerca di pepite d'oro scendevano in gallerie oscure, armati di pale e picconi, sperando di dissotterrare ricchezze. L'argento, invece, veniva spesso estratto in associazione con altri metalli.
Le vene argentifere attiravano i minatori a causa del loro alto valore sul mercato. Il rame, lo stagno e il piombo, sebbene meno prestigiosi, giocavano anch'essi un ruolo essenziale nell'economia locale. I minatori di Lozère dovevano adattarsi e destreggiarsi nell'estrazione di vari metalli a seconda delle fluttuazioni del mercato. La vita quotidiana dei minatori era scandita da ore di lavoro estenuanti. Alzarsi prima dell'alba, camminare fino alla miniera e passare lunghe giornate a scavare nell'oscurità era la norma.
I minatori si ritrovavano spesso in gruppo, formando legami di amicizia e solidarietà in mezzo alle dure condizioni di lavoro. Le pause erano preziose, permettendo ai minatori di condividere storie e sostenersi a vicenda. Le famiglie dei minatori vivevano spesso in villaggi vicini alle miniere, dove la vita era segnata dalla comunità e dalle tradizioni. Le donne e i bambini svolgevano un ruolo cruciale nel sostenere le famiglie, occupandosi delle faccende domestiche e contribuendo all'economia domestica. La vita era semplice, ma le risorse erano limitate e le difficoltà economiche erano frequenti.
La vita dei minatori non era segnata solo dal lavoro. Le battaglie per migliori condizioni lavorative sono state un elemento essenziale della loro esistenza. I minatori si sono spesso organizzati in sindacati per rivendicare diritti, salari equi e condizioni di sicurezza. Scioperi e manifestazioni erano forme di espressione per far sentire le loro voci di fronte ai proprietari delle miniere, che spesso trascuravano la sicurezza e il benessere dei loro lavoratori. Nonostante i loro sforzi, molti minatori hanno sofferto di malattie legate al lavoro, come la silicosi, e gli incidenti erano frequenti. Il rischio costante di perdere un caro nella galleria buia pesava gravemente sulle famiglie.
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